Come Frida?

In uno degli ultimi tentativi di fecondazione assistita ebbi una reazione particolarmente dolorosa dopo che mi prelevarono gli ovuli. Dovetti stare a letto una intera giornata, in una camera d’albergo di una città che conoscevo poco.

Ricordo che fuori nevicava, e la neve aveva la stessa ambiguità dei sentimenti che mi frullavano dentro. Dolore, rabbia, attesa, speranza, tutte queste emozioni si alternavano, senza che nessuna prevalesse.

I tentativi di fecondazione assistita sono tutti così. Un crogiolo di emozioni, accompagnati da una discreta dose di dolore e fastidio fisico. La cosa che dovrebbe essere più dolce, bella, piacevole e naturale al mondo che invece si rivela come un percorso ad ostacoli, complicato (anche perché la burocrazia e gli ospedali te lo rendono molto più complicato di quanto non sia già di per se). Tutto il tuo corpo è invaso, esplorato, a tratti violato da qualcosa che nulla ha a che fare con la natura.

Eppure è proprio la forza della vita, la voglia di generare vita, che è la cosa più naturale al mondo, che ti spinge lì. In un ambulatorio, in mezzo a gente sconosciuta che ti fruga dentro, mezza nuda su un tavolo operatorio, sempre troppo freddo, con le gambe aperte, mentre preghi sottovoce che quella sia la volta giusta, la volta in cui la vita dentro di te si formerà, invadendoti e riempendoti tutta.

Stavo facendo pensieri simili in quella camera di albergo, a letto, dolorante per l’operazione appena avvenuta, quando per distrarmi un po’ ho deciso di guardare il film dedicato a Frida Khalo.

Oggi la sua storia mi è tornata in mente. Nel film si racconta del difficile rapporto con la maternità che ebbe Frida, dei bimbi persi durante le gravidanze, del dolore enorme, anche fisico, e del fatto che non riuscì mai a diventare madre.

E allora sono andata a cercare le sue opere. Per capire come aveva raccontato quello che aveva vissuto.

Mi ha colpito profondamente il dipinto “il letto volante”.

Quanta sofferenza c’è in quel letto, e quanto mi ci sono rispecchiata.

Sono stata anche io corpo nudo, sul letto anonimo di un ospedale, avvolto nel sangue, così osceno, così triste, così solo.

Quel bambino che fluttua collegato ancora al cordone ombelicale è Vittoria, la sua presenza che mi è così vicina, collegata a me da un cordone ombelicale che esisterà per sempre.

Ho sentito il dolore di Frida nella mia carne. Il suo dolore come il mio, impresso nella carne, eterno nel cuore.

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