Penso spesso a quelle madri che affrontano la traversata del Mediterraneo, con delle creature nel grembo, o con bambini da poco venuti alla luce.
Ci penso quando penso a te Vittoria, che non sei venuta alla luce pur avendo attorno a te calore, cure mediche, tutte le condizioni affinchè la vita potesse proseguire senza inciampi.
A volte un bambino viene alla luce su un gommone nel mare in tempesta, dopo che una madre ha attraversato l’inferno. Altre volte una piccola vita se ne va, quando una madre l’ha curata e cresciuta in mezzo a tutti gli agi possibili.
E’ una delle tante domande che mi serbo in cuore, il Mistero profondo di questa vita che stiamo vivendo, uno di quei perchè a cui non si riesce neanche a dare voce.

Poco fa mi sono capitate sotto gli occhi queste parole di ERRI DE LUCA e mi paiono significative per spiegare il coraggio delle madri, a terra e in mare.
“Durante i giorni in mare con Medici Senza Frontiere mi ero portato da leggere l’Eneide. Come per l’Odissea la parte attraente per me erano le navigazioni, più delle vicende in terraferma. Sono i venti contrari, più dei favorevoli, a decidere i loro viaggi.
È la tempesta a spiaggiare Enea sulla costa Libica, accolto da eroe da Didone, regina del luogo.
Richiesto da lei, Enea racconta il crollo di Troia, l’ultima resistenza, la sua messa in salvo, l’imbarco e la deriva.
Virgilio gli fa dire un verso estremo fino al paradosso: ”Una salus victis, nullam sperare salutem“, unica salvezza per i vinti, nessuna salvezza sperare.
Come può la perdita di ogni speranza essere l’unica salvezza?
Penso all’insurrezione del ghetto di Varsavia del 1943. Quei resistenti male armati erano vinti in partenza, ma non rinunciarono a battersi. Quando la speranza è zero, spuntano forze e istinti che tentano l’impossibile. Avevo questa spiegazione del verso di Virgilio. Mi dovette colpire anche allora, perché è l’unico verso del poema che ricordo ancora.
A chi sta in terraferma oggi è incomprensibile che in Mediterraneo avvengano naufragi a mare calmo. Il mare stesso, in persona, è sgomento della più micidiale quota di annegati della sua storia.
A bordo di quella nave che scippava vite condannate a morte, ho visto salire madri con bambini in braccio. Come potevi, madre snaturata, esporre la tua creatura alla più alta probabilità di morte? Cosa spinge una madre allo sbaraglio con forza superiore all’istinto materno?
La disperazione. Lo ha saputo un poeta e lo ha fatto dire al suo personaggio. Servono a niente speranze e speranzelle per chi è passato per le prigioni libiche. Solo la disperazione è forza motrice per affrontare a freddo qualunque via di fuga. La disperazione fa saltare dal decimo piano di una casa in fiamme.
L’ho saputo a bordo di un battello salvagente, il senso di un verso rimasto in memoria.
Quando madri di bambini in braccio si buttano alla cieca in mezzo al mare, niente di niente le potrà distogliere, fermare. I porti chiusi di un ministrello sono la patetica impotenza a misurarsi con la disperazione.
Auguro all’anno nuovo un poco del coraggio sovrumano di quelle madri, le sommerse e le salvate.”
P.S.
Paradossalmente pur con i piedi saldi sulla terra ferma mi sento io quella sommersa dal mare … senza neppure essere riuscita a salvare la mia creatura.