
S’imparano mille cose in un istante, non occorre essere stati a scuola, quando la vita ti colpisce a tradimento con le sue cattiverie: basta avere una spina dorsale che ti mantenga in piedi.
Vasco Pratolini

S’imparano mille cose in un istante, non occorre essere stati a scuola, quando la vita ti colpisce a tradimento con le sue cattiverie: basta avere una spina dorsale che ti mantenga in piedi.
Vasco Pratolini

Ci vuole lentezza per l’amore.
È la lentezza che serve per tessere e per costruire.
Ci vuole pazienza per l’amore.
La pazienza che ti permette di far bene le cose, di imparare, di osservare.
Ci vuole anche tanta umiltà per l’amore.
Quella che ti permette di chiedere scusa, di fare un passo indietro quando serve, di dimenticare.
Ci vuole coraggio, tantissimo coraggio per l’amore.
Per mettere in gioco le proprie sicurezze, per fidarsi anche quando non puoi prevedere cosa ti riserva il futuro, per mettere nelle mani di qualcun altro ciò che di più prezioso si ha, la propria vita e i propri sogni.
Ci vuole ottimismo per l’amore.
Perché ti guardi attorno e vedi un mondo dove dolore, odio e sofferenza spesso prendono il sopravvento. Allora ti dici e ti ripeti che è la vita l’antidoto più grande. E tu quegli anticorpi te li senti tutti in circolo, anche nelle giornate più buie e difficili.
Ci vuole generosità per l’amore.
Perché ogni volta che ami, o che vuoi bene a qualcuno, è come se mettessi in gioco un pezzetto di te stesso, donandolo. Perché non sempre il progetto che l’amore ha per la tua vita coincide con quello che hai in mente tu.
Nei cinque mesi in cui ti ho portato dentro di me, Vittoria, le sfumature dell’amore le ho provate tutte.
Sei stata il più grande atto di coraggio che potessi fare. E mi hai messo alla prova come mai mi era capitato nella vita.
Oggi ripensavo al dolore enorme e alla dolcezza e all’amore che ho provato quando ti ho partorito.
Potrei sembrare matta, perché il tuo parto è stato anche il momento in cui ho dovuto dirti addio. Ma ringrazio il cielo di averti potuto mettere al mondo così attraverso quel dolore profondo, che ha dato anche un senso a quello che ci stava succedendo.
Tu c’eri lì con me. Ti ho potuto abbracciare, toccare.
Sei passata attraverso me andando verso una luce nuova.
Certo avrei preferito con tutta me stessa tenerti qua, VIVA. Ma preferisco averti portato dentro, anche se per quei pochi mesi, piuttosto che non averti mai incontrato, non averti mai VISSUTO.
Ti voglio bene piccola mia.


Oggi sono due mesi che te ne sei andata.
Parto presto col treno. Cerco di scansare i pensieri difficili. Mi accarezzo la pancia, mi è rimasto questi gesto che di tanto in tanto faccio in maniera quasi involontaria, o perché continuo a sentire un po’ di dolore.
Sto pensando a dove sei ora. Vorrei sentirti ancora qua, ancora una volta, un piccolo fremito, un sussulto. Stanotte speravo di sognarti così come quell’unica volta che è accaduto, una bimba allegra con i capelli neri e gli occhi azzurri. Mi hai salutato in quel sogno e sei corsa via, poi non ti ho più sentito. Tutto era finito.
Vittoria mia piccola, chiuderò per molto tempo gli occhi sperando di rivederti così, felice pronta a correre via con una amica per mano.
È la piccola consolazione a cui mi aggrappo.
Ti voglio bene bimba mia.


Uno degli aspetti che caratterizza le settimane e i mesi successivi ad una perdita è la continua altalena emotiva.
Mi ritrovo nella stessa giornata a pensare “forse mi sento un po’ meglio” e due secondi dopo a sentirmi sprofondare nel baratro, per una parola, una immagine o un pensiero.
Mi viene in mente il film Inception, il protagonista ha una piccola trottola in metallo ed è lo strumento che usa per distinguere il sogno dalla realtà. Ecco alle volte avrei bisogno anche io di qualcosa da stringere in mano che mi riporti alla realtà o meglio in equilibrio, quando inizio a scivolare sospinta dai pensieri cupi.
Oppure mi accorgo che a seconda di una parola o di un sospeso cambio il mio approccio alle persone. E la mente parte, magari anche solo per attimi che sembrano infiniti, in uno stato angoscioso dove, come in un domino, la conseguenza di una parola diventa una proiezione di futuro, una concatenazione di eventi, che non possono essere evitati. Alla fine ovviamente c’è sempre un esito disastroso.
Ho deciso di tenere questo blog mantenendo, per quel che si può, riservata la mia identità.
Un po’ perché penso che qui non serva spiegare che lavoro faccio o di che colore ho i capelli. Qui voglio parlare di come uscirò, se uscirò da questo lutto, da questa fase difficile.
Penso anche che certe emozioni, così come questo tipo di percorso, siano comuni, ma poco condivise. E allora provo a scrivere quel che sento pensando che magari, un domani, potrò condividerlo e mandare queste mie parole per il mondo.
Tutto questo per dire che anche se non voglio scrivere di cosa mi occupo, non posso non rivelare che ho davanti un anno davvero complicato.
Sto mettendo in gioco tutto e non so dire chi sarò al termine del 2019.
E allora questo blog è un po’ il mio compagno di viaggio. Come diceva Jovanotti ne “La linea d’ombra”
Non so cos’è il coraggio
se prendere e mollare tutto
Se scegliere la fuga
od affrontare questa realtà difficile da interpretare
ma bella da esplorare
Provare a immaginare cosa sarò quando avrò attraversato il mare…


Stasera mi manchi tanto piccola stellina mia… e mi è venuto in mente il Piccolo principe, che come te se ne è andato (troppo presto) su una stella.
DAL PICCOLO PRINCIPE
«Guarderai le stelle, la notte. E’ troppo piccolo da me perché ti possa mostrare dove si trova la mia stella. E’ meglio così. La mia stella sarà per te una delle stelle. Allora, tutte le stelle, ti piacerà guardarle… Tutte, saranno tue amiche. E poi ti voglio fare un regalo…».
«Ah! ometto, ometto mio, mi piace sentire questo riso!».
«E sarà proprio questo il mio regalo… sarà come per l’acqua…». «Che cosa vuoi dire?».
«Gli uomini hanno delle stelle che non sono le stesse. Per gli uni, quelli che viaggiano, le stelle sono delle guide. Per gli altri non sono che delle piccole luci. Per gli altri, che sono dei sapienti, sono dei problemi. Per il mio uomo d’affari erano dell’oro. Ma tutte queste stelle stanno zitte. Tu, tu avrai delle stelle come nessuno ha… Quando tu guarderai il cielo, la notte, visto che io abiterò in una di esse, visto che io riderò in una di esse, allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero. Tu avrai, tu solo, delle stelle che sanno ridere! E quando ti sarai consolato, sarai contento di avermi conosciuto. Sarai sempre il mio amico. Avrai voglia di ridere con me. E aprirai a volte la finestra, così, per il piacere… E i tuoi amici saranno stupiti di vederti ridere guardando il cielo. Allora tu dirai: “Sì, le stelle mi fanno sempre ridere!” e ti crederanno pazzo. T’avrò fatto un brutto scherzo… Sarà come se t’avessi dato, invece delle stelle, mucchi di sonagli che sanno ridere…Questa notte… sai, non venire».
«Non ti lascerò».
«Sembrerà che io mi senta male… sembrerà un po’ che io muoia. E’ così. Non venire a vedere, non vale la pena…».
«Non ti lascerò».
«Ti dico questo… anche per il serpente. Non bisogna che ti morda…I serpenti sono cattivi. Ti può mordere per il piacere di…».
«Non ti lascerò».
«E’ vero che non hanno più veleno per il secondo morso…».
Quella notte non lo vidi mettersi in cammino. Si era dileguato senza far rumore. Quando riuscii a raggiungerlo camminava deciso, con un passo rapido.
«Sei qui. Hai avuto torto. Avrai dispiacere. Sembrerò morto e non sarà vero…».
Io stavo zitto.
«Capisci? E’ troppo lontano. Non posso portare appresso il mio corpo. E’ troppo pesante».
Stavo zitto.
«Sarà come una vecchia scorza abbandonata. Non sono tristi le vecchie scorze…».
Io stavo zitto.
«Sarà bello, sai. Anch’io guarderò le stelle. Tutte le stelle saranno dei pozzi con una carrucola arrugginita. Tutte le stelle mi verseranno da bere».
Io stavo zitto.
«Sarà talmente divertente! Tu avrai cinquecento milioni di sonagli, io avrò cinquecento milioni di fontane…».
Tacque anche lui perché piangeva.
«E’ là. Lasciami fare un passo da solo. Sai… il mio fiore… ne sono responsabile! Ed è talmente debole e talmente ingenuo, ha quattro spine da niente per proteggersi dal mondo… Ecco, è tutto qui…».
Non ci fu che un guizzo giallo vicino alla sua caviglia. Rimase immobile per un istante. Non gridò. Cadde dolcemente come cade un albero. Non fece neppure rumore sulla sabbia.
Sono passati sei anni.
Non ho mai raccontato questa storia. Al mio ritorno gli amici erano molto contenti di rivedermi vivo.
Ero triste.
Ora mi sono un po’ consolato, cioè, non del tutto.
Ma so che è ritornato nel suo pianeta perché al levar del giorno non ritrovai più il suo corpo.
Non era un corpo molto pesante…
Ora la notte mi piace ascoltare le stelle. Sono come cinquecento milioni di sonagli… Ma ecco che accade una cosa straordinaria. Alla museruola disegnata per il piccolo principe, ho dimenticato di aggiungere la correggia di cuoio! Non avrà mai potuto mettere la museruola alla pecora. Che cosa sarà successo sul suo pianeta? Forse la pecora ha mangiato il fiore? E’ tutto un mistero.
Per voi che pure volete bene al piccolo principe, come per me, tutto cambia nell’universo se in qualche luogo, non si sa dove, una pecora che non conosciamo ha, sì o no, mangiato una rosa. Guardate il cielo e domandatevi: la pecora ha mangiato o non ha mangiato il fiore? E vedrete che tutto
cambia…
Ma i grandi non capiranno mai che questo abbia tanta importanza.
Se un giorno farete un viaggio in Africa, nel deserto, vi supplico, non vi affrettate, fermatevi un momento sotto le stelle! E se un bambino vi viene incontro, se ride, se ha i capelli d’oro, se non risponde quando lo si interroga, voi indovinerete certo chi è.
Ebbene, siate gentili! Non lasciatemi così triste: scrivetemi subito che è ritornato.
Antoine de Saint-Exupery – Il Piccolo Principe

Come si può trasformare il dolore?
Quando ho perso Vittoria ho trovato nel portale ciaolapo.it uno spazio con tante voci di mamme e papà che avevano vissuto la mia stessa esperienza.
Non sono mai riuscita a scrivere nelle chat e nei gruppi tematici, ma leggere del loro dolore e di come lo stavano affrontando mi ha fatto sentire meno sola e meno sfigata.
In “Ciao Lapo” mi ero imbattuta casualmente, alcuni mesi fa, leggendo un articolo di giornale che parlava di lutto perinatale e della giornata che ogni anno viene organizzata (il 15 ottobre) per sensibilizzare su questo tema che coinvolge tante famiglie, ma su cui incombe ancora troppo silenzio.
Avevo visitato il sito per capire, senza pensare ovviamente che a distanza di pochi mesi sarei stata colpita anche io da quel lutto.
Ecco, quando penso a come trasformare il lutto mi viene in mente subito Ciao Lapo, un portale che è stato creato da due genitori che avevano subito la perdita di un figlio a fine gravidanza e che sono riusciti a trasformare questo enorme dolore in un luogo accogliente di conforto, sostegno, di informazione per tutti che si trovano ad affrontare una situazione così difficile.
Ciao Lapo è stato per settimane il mio rifugio.
Accucciata sulla poltrona rossa, a tutte le ore, leggevo avidamente le storie di altri genitori come me. Nelle loro testimonianze ritrovavo le parole per esprimere quelle emozioni e quei pensieri che ancora, nella mia mente è nel mio cuore, non avevano contorni definiti, ma si facevano sentire con un dolore sordo e profondo.
C’è stata una testimonianza che più di altre mi ha scavato dentro. Si intitolava “la me senza pancia”.
Questa espressione “la me senza pancia” mi ha risuonato dentro per giorni. Mi ha fatto piangere, tirare fuori la disperazione che avevo.
Chi era “la me senza pancia”? Come avrei fatto senza quella pancia che così tanto avevo inseguito e desiderato?
Mi faceva talmente soffrire quell’espressione che a un certo punto ho cercato di zittirla, di dimenticarla, sapendo che è proprio quello il nodo da sciogliere, chi era la “me senza pancia”?
Inutile dire che la risposta ancora non la conosco perché fa parte del cammino che sto affrontando.
So però che “Ciao Lapo” è un fedele compagno di viaggio di questo cammino e non posso che ringraziare quel papà e quella mamma che hanno usato il loro dolore per aiutare altre persone come me a venirne fuori, o perlomeno ad affrontarlo, passo dopo passo.

Sono passati quasi due mesi da quando la mia piccola Vittoria ci ha lasciato.
E i giorni si susseguono, alcuni al rallentatore. Il dolore arriva ad ondate. Non è mai uguale e ti assale quando meno te lo aspetti.
Oggi per esempio una telefonata dal centro analisi, che non poteva sapere che Vittoria non c’è più, mi ha trascinato là dove non voglio essere. In quella realtà parallela dove la pancia è cresciuta, dove sono in maternità e giro appesantita per la mia città cercando di mantenere qualche impegno di lavoro.
In quella realtà sto iniziando a preparare la valigia per l’ospedale come si fa quando ci si affaccia ai setti mesi. Compro le prime tutine rosa e penso a come sistemare la cameretta, facendo spazio per lei tra le cose di Edo.
È una realtà dove sono incredibilmente felice e forse quella felicità mi fa un po’ paura. E sono anche, come mi capita sempre, preoccupata per mille cose stupide.
Vittoria calcia dentro di me, ma è anche una bimba tranquilla, già pronta ad avere a che fare con una mamma piena di impegni e di voglia di vivere.
Ecco basta una chiamata per riportarti con la mente là, in quella realtà in cui non ti vuoi affacciare perché fa davvero troppo male.
E allora ho deciso che questa volta le emozioni sono troppo forti per tenerle dentro. C’è bisogno di uno spazio in cui scrivere. Di lei, della mia Vittoria.
Non so cosa diventerà questo spazio, ma voglio dire il suo nome e capire cosa può diventare, la mia piccola Vittoria, capire oltre questo dolore cosa ci aspetta.
